HE HAWAI'I AU (IO SONO HAWAI'I)

Dove l'Oceano incontra la Terra, affiora la voce di un’isola

Le parole di un uomo si intrecciano con la voce di un’isola. Mondi artificiali ricoprono di inutile una terra ferita.

Montagne, oceani e vulcani resistono all’assordante invasione del mondo, mentre antiche parole rivelano la saggezza di un popolo.

He Hawai’i Au è un luogo dell’anima, lontano dai riflettori, dove ritrovare se stessi, le proprie radici, la propria appartenenza.

(Italia-Hawai’i, 21 min, HD, 2014)

regia: Yukai Ebisuno e Raffaella Mantegazza

soggetto: Emanuela Borgnino

con: Ramsay Taum

Post-produzione audio: Yukai Ebisuno, Giuliano Girelli

Interprete e Traduzioni: Emanuela Borgnino

Produzione: Fabio Maurino, Emanuela Borgnino, Yukai Ebisuno, Raffaella Mantegazza

coproduzione: Il Piccolo Cinema

Formato: Full HD (1920×1080) Aspect ratio: 16:9 Suono: Dolby Stereo Durata: 21 min Lingua: English, Sottotitoli disponibili: Italiano, Copia di proiezione: Blu-Ray, DVD, file HD.mov, .mp4

NOTE DI REGIA

L’impatto con le Hawai’i e i suoi mondi artificiali incastonati nelle meraviglie di queste isole vulcaniche è stato più forte di quello che credevamo. Questo contrasto è stato il punto di partenza per raccontare ciò che si nasconde dietro le immagini da cartolina e scoprire che l’arcipelago Hawaiano è vittima a tutti gli effetti di una occupazione. 

La perdita di valori, l’eccesso e l’artificiale hanno divorato tutto, anche la cultura hawaiana. Per questo abbiamo creduto importante raccontare la testimonianza di chi, come Ramsay, cerca di recuperare con profondità la saggezza della cultura indigena Kanaka Maoli, per restare fedele al proprio Kuleana, la propria responsabilità di custode della cultura indigena. 

Conoscere Ramsay Taum, il protagonista del film, è stato per noi non solo un onore, ma soprattutto uno sprone a tornare a prenderci cura della nostra terra, riscoprire le nostre responsabilità e ritrovare un luogo a cui appartenere.

DIARIO DI CAMPO

Siamo stati invitati a partecipare a un progetto di ricerca alle Hawai’i, in particolare sull’isola di Oahu, per realizzare un documentario con i Kanaka Maoli, la popolazione indigena dell’arcipelago.

Attraverso una ricerca orientata dall’antropologa culturale Emanuela Borgnino, che da anni lavora con i nativi hawaiani, abbiamo provato a dare il nostro contributo a una tematica a noi molto cara: il rapporto dell’essere umano con la natura.

Il nostro è un progetto che ha voluto indagare e riflettere su cosa significa essere Kanaka Maoli oggi, intendendo raccontare la contemporaneità degli indigeni hawaiani attraverso la storia personale di Ramsay Taum: tramite le sue parole si fa luce sulla memoria collettiva, sul territorio delle isole Hawai’i e sulla cultura tradizionale.

Lo scopo del progetto è la condivisione di un messaggio: quello di riappropriarci della nostra terra e di un rapporto con la natura che tenda a salvaguardarne i diritti come soggetto autonomo e non come oggetto.

Nonostante i vantaggi tecnologici di cui oggi beneficiamo, un quinto della popolazione mondiale consuma il 90% dei beni e il resto vive sotto la soglia di povertà. I danni emotivi e spirituali causati dalla perdita di interconnessione con la natura e la perdita del senso di appartenenza ad un luogo e a una comunità è evidente: pur avendo sempre di più, stiamo sempre peggio.

Non sentiamo più quel senso di appartenenza che ci fa dire “io sono la terra” che curo e di cui mi occupo. Il rapporto tra l’uomo e la natura è fondamentale, è una relazione che incide sul modo di vedere e percepire il mondo e sull’identità di un gruppo.  Riuscire a recuperare il rapporto con la natura sta alla base di un cambiamento delle nostre politiche governative, e in questo la cultura indigena Kanaka Maoli vuole essere la metafora di questo cambiamento. Questo popolo ci spiega che occuparsi della natura non è un lavoro individuale, è un impegno che va preso come gruppo, come comunità: un impegno che lega e connette il tessuto sociale e il territorio in una relazione dialogica che definisce l’essere umano sia nella cultura che nei diritti.

He Haweai’i Au è un progetto di ricerca sulla rinascita della cultura hawaiana, che mira a creare una connessione tra arte, politica e cultura, per narrare la trasformazione sociale dell’arcipelago, ma che spera di essere anche una goccia di consapevolezza in più, nell’oceano dell’esistenza, che possa servire ad ogni comunità, in ogni luogo della Terra nel ridefinire i propri rapporti di coesistenza con il nostro Ambiente.

Foto: Fabio Maurino

(breve) storia delle hawai'i

Le Hawai’i sono un arcipelago vulcanico formato da 137 isole circondate dall’oceano Pacifico.

Sono considerate il posto più remoto della terra, in quanto distano più di ogni altro territorio dalle altre terre emerse, ma nonostante la loro posizione isolata dal resto del mondo erano totalmente auto sufficienti fino all’arrivo dei primi colonizzatori europei. Oggi alle Hawai’i risiede circa un milione di abitanti, ma viene importato il 94% del cibo e dei beni di consumo.

I Kanaka Maoli sono la popolazione nativa delle Hawai’i: arrivarono nelle isole da Taiwan durante la migrazione australonesiana tra il 400 e l’800 d.C . Si calcola che nell’arcipelago prima dell’arrivo dell’esploratore britannico James Cook, nel 1778, vivessero circa un milione di indigeni Hawaiiani, mentre oggi sono 100.000, registrando un calo del 90% . Al tempo di Cook le isole erano divise in regni indipendenti: l’economia delle Hawai’i era basata su di un sistema di divisione del territorio a sezioni. Ogni sezione rappresentava un distretto e scendeva verticalmente dalla montagna per poi allargarsi fino ad arrivare alla costa oceanica. Ogni Ahupau’a o distretto era praticamente autosufficiente e venivano utilizzate in maniera consapevole le diverse risorse naturali: dalla foresta si produceva il legname che veniva utilizzato per le abitazioni, le canoe, armi, arnesi, le coste per la pesca, le zone pianeggianti per la coltivazione del taro. Questo sistema valorizzava l’ecosistema e garantiva la conservazione delle risorse.  Negli Ahupua’a uomini, animali e divinità vivevano insieme, i confini tra il mondo manifesto degli uomini e quello soprannaturale erano fluidi e permeabili. Non essendoci alcuna forma di commercio o di baratto la società era basata sulla generosità e sul concetto di dono e di cura reciproca: lo spirito dell’Aloha (nel suo significato più profondo si può tradurre in “mai solo”) è infatti un concetto base della cultura hawaiiana.

Alla fine dell’Ottocento  con il decollo del capitalismo industriale inizia l’espansione USA e la terra dei Kanaka Maoli viene confiscata.

Per i Kanaka Maoli dalla seconda metà del 1850 iniziò un periodo di decadenza in quanto il loro territorio venne completamente trasformato: la lussureggiante vegetazione delle loro isole venne devastata per passare alla monocultura estensiva della canna da zucchero. Venne introdotto il concetto di proprietà privata che per loro significò inaccessibilità al proprio territorio. Le terre che precedentemente erano a disposizione degli Hawaiiani, vennero vendute agli stranieri che le acquistarono per inziare a sfruttarle per l’esportazione. Nel 1890 la minoranza occidentale possedeva più di metà del territorio Hawaiiano, i non Hawaiiani residenti nelle isole, erano meno di 1500 (una relazione di uno straniero ogni 100 Hawaiiani).

Tra il 1850 e il 1890 i missionari protestanti iniziarono ad acquistare terre ed i loro figli investirono il proprio futuro nella canna da zucchero. L’intera economia delle isole venne a dipendere dallo zucchero. Le piantagioni avevano bisogno di numerosa manodopera, dato che gli Hawaiiani erano sempre meno e sempre più malati, i proprietari terrieri avviarono un processo di immigrazione che cambiò per sempre la demografia dell’arcipelago. Arrivò manodopera cinese, giapponese, coreana e portoghese, furono circa 350.000 gli immigrati della canna da zucchero. Lo zucchero è il motivo principale dell’occupazione delle Hawai’i da parte degli statunitensi, oltre alla posizione strategica e militare di controllo dell’oceano Pacifico.

Anche se gli USA erano il maggior mercato di zucchero per le Hawai’i, le tariffe statunitensi sulle importazioni di zucchero pesavano sul profitto e per rimanere competitivi nel mercato dello zucchero, i produttori Hawaiiani hanno cercato ed ottenuto l’annessione con gli USA per far diventare il loro zucchero prodotto nazionale.

Nel 1893 con il sostegno dell’esercito statunitense un gruppo formato da 13 stranieri tutti latifondisti deposero la regina e formarono un governo provvisorio. 

Nel 1894 venne proclamata la Repubblica delle Hawai’i e la prima cosa che il neonato governo fece fu cambiare i criteri per gli elettori: potevano votare solo gli uomini che dimostrassero di avere proprietà private, che facessero un giuramento contro la monarchia e che sapessero leggere, scrivere e parlare inglese, tagliando fuori quindi più dell’80% della popolazione nativa. Una volta annesse le isole furono cedute agli USA dalla Repubblica delle Hawai’i con l’accordo che sarebbero state messe in un fondo per il popolo Hawaiiano: queste terre cedute costituiscono circa metà del territorio delle otto isole principali. Durante questo periodo il 20% di queste terre fu disposto a uso militare o sotto la tutela dei parchi naturali statunitensi.

Nel 1921 dopo numerose pressioni fu passata una legge chiamata Hawaiian Homes commission act per garantire l’accesso al territorio agli Hawaiiani che stavano scomparendo come popolo, le terre che gli furono concesse furono quelle terre che nessuno era riuscito a rendere produttive perché sulle pendici delle montagne o nelle zone aride o paludose erano le peggiori aree delle isole.

Dal 1959, quando le Hawai’i divennero ufficialmente e illegalmente il 50° stato degli USA, l’obbiettivo fu di de-Hawaiianizzare la popolazione nativa facendola diventare americana, eliminandone la lingua, la cultura e la spiritualità. Qualsiasi espressione nativa era proibita: gli Hawaiiani impararono a rifiutare la loro tradizione e a vederla come inferiore e incapace di accettare le sfide del futuro.

La situazione dei nativi Hawaiiani, che rappresentano circa il 10% della popolazione totale dell’arcipelago, è assai diversa da quella dei nativi americani, poiché la mancanza di trattati derivante dall’annessione fa sì che alla popolazione autoctona sia negata anche la scarsa autonomia riconosciuta alle altre nazioni indigene degli Stati Uniti (Indiani, Inuit ed Aleuti): autonomia concessa attraverso sovvenzioni federali, esenzioni fiscali, e forme di autogoverno locale. Per questo in base alle legge internazionale i nativi Hawaiiani  avrebbero diritto a rivendicare la sovranità del proprio territorio in quanto le Hawai’i prima del 1893 erano riconosciute da altre potenze internazionali come la Francia e l’Inghilterra una nazione sovrana attraverso dei trattati internazionali.

Fra i 50 stati che formano la federazione statunitense, le isole Hawai’i occupano un posto decisamente singolare. Non solo sono l’unico stato insulare, ma appartengono geograficamente e culturalmente ad un altro continente (l’Oceania): ufficialmente si trovano sotto la giurisdizione degli Stati Uniti d’America, ma appartengono all’area culturale della Polinesia.

La risposta indigena arrivò negli anni 70 dopo l’ennesimo test nucleare su un isola disabitata dagli uomini, inizia un periodo di rinascita culturale e di lotta per i propri diritti territoriali per il riconoscimento a livello internazionale. Assistiamo alla nascita del movimento per i diritti indigenie  per la rinascita della cultura e lingua Hawaiiana.

Oggi i Kanaka Maoli rivogliono indietro le terre cedute agli USA senza il consenso della popolazione nativa: alcuni aspirano all’autonomia e ad uno status di “nazione nella nazione” analogo a quello degli Indiani, la maggior parte invece si batte per la restaurazione dello stato monarchico indipendente, con un governo eletto dal popolo.

"Ua mau ke ea o ka 'āina i ka pono"

Frase hawaiana pronunciata da Kamehameha III "La vita della terra è perpetuata nella rettitudine".

i kanaka maoli

Essere Kanaka Maoli significa appartenere alla terra (la parola Kanaka vuol dire persona e Maoli nativa) e indica una relazione indissolubile tra l’identità indigena e l’appartenenza ad un determinato territorio: Ka Pae Aina o Hawai’i.

Per i Kanaka Maoli la terra è Āina (Āi è nutrire, e Na è cibo), in quanto la terra è ciò che garantisce il cibo, ma se si analizza il significato della parola Āi è composto anche da A che è il sole e I che è l’energia spirituale della terra quindi Āi è il nutrimento che nasce dall’azione del sole grazie all’energia della terra. Aina per un Kanaka Maoli non è solo il territorio in cui è nato e vive, ma è anche la propria Madre, colei che gli ha dato la vita: essere indigeni alle Hawai’i significa appartenere al territorio e curarsi del territorio come un figlio si prenderebbe cura della propria madre.

I Kanaka Maoli hanno delle caratteristiche uniche che li distinguono fortemente sia dagli occidentali che dagli asiatici.  La prima è quella di essere isolani con secoli di evoluzione culturale improntata sull’interrelazione con il territorio, con il mare e con i membri della propria comunità per assicurarsi la sopravvivenza. La seconda è che questo rapporto con la natura che ha impedito la competizione con i conquistatori rendendo difficile l’assimilazione alle culture che venivano imposte.  Questo ha fatto sì che oggi costituiscano la parte di popolazione più povera: i Kanaka Maoli si ammalano più facilmente, le donne vengono violentate più di frequente, gli studenti sono quelli che abbandonano più spesso gli studi e il tasso di alcolismo, droga e criminalità è il più alto della popolazione. Il motivo è che la cultura occidentale imposta a questa popolazione stride con l’alfabeto simbolico usato per interpretare, interagire e relazionarsi con la natura.

Trova il luogo a cui appartieni

Ramsay Taum

ecologie native

libro di Emanuela Borgnino

La ricerca di Emanuela Borgnino alla Hawai’i è proseguita ancora dopo il documentario: ha trascorso un altro anno di ricerca sul campo e ne è nato il libro “Ecologie Native” edito dalla casa editrice Elèuthera.

(Dalla prefazione al libro di Adriano Favole)

L’innovativo contributo che le ecologie native possono dare è di immaginare e progettare il futuro del nostro pianeta a partire da un paradigma del vivente che concepisca l’ecosistema come una comunità composta da umani e non umani e attraversata da una fitta rete di relazioni fondate sull’interdipendenza. D’altronde, siamo tutti a bordo della stessa piroga e l’unico modo efficace per governare l’imbarcazione, soprattutto durante le inevitabili tempeste, è appunto quello di una stretta e consapevole cooperazione.

Per l’ecologia nativa hawaiana, ogni espressione della natura – il collettivo non umano costituito dall’atmosfera e dai suoi agenti, dall’acqua e dalla terra, dalle piante, dagli animali e dagli spiriti dei luoghi – è animata e consapevole, dunque capace di interagire con sé stessa e con il collettivo umano. Questa trama di connessioni e interdipendenze è il motivo per cui in hawaiano non c’è un termine equivalente a quello occidentale di «natura»: l’umano e il non umano non sono separati e contrapposti come nella concezione occidentale, ma si combinano per formare un’unica famiglia, quella del vivente. All’interno di questo paradigma culturale, Borgnino esplora, in una prospettiva al contempo etnografica e storica, le forme di responsabilità ecologica espresse dalla cultura indigena hawaiana, con la sua vocazione alla reciprocità segnatamente insulare. Ed è proprio questa visione del mondo che ci viene veicolata dalle ecologie native: un pianeta-isola circondato dallo spazio cosmico in cui il benessere individuale e collettivo dipende strettamente da una propensione alla cooperazione non solo tra umani ma anche tra umano e non umano. 

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