Proteste dei trattori: un altro mondo è possibile

“Senza natura non c’è futuro per l’agricoltura”

In questo periodo di trattori in strada e attenzione mediatica sul mondo agricolo, abbiamo voluto scrivere anche noi il nostro punto di vista su questa situazione.

Come piccoli contadini che si prendono cura della terra che coltivano, sentiamo l’esigenza di comunicare che è possibile praticare anche un altro modo di produrre il cibo, senza entrare in conflitto, ma favorendo la tutela dell’ambiente e del clima, garantendo contemporaneamente un reddito dignitoso ai produttori. E lo vogliamo dimostrare tramite il nostro lavoro quotidiano portato avanti con tenacia e passione per recuperare fazzoletti di terra abbandonata perché troppo marginali, rigenerando la fertilità del suolo, aderendo ai metodi e ai valori dell’agricoltura biologica e dallo stretto rapporto con il territorio.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa sta succedendo.

Perché protestano gli agricoltori?

Dall’inizio di gennaio in vari paesi europei come Francia, Germania, ma anche in Italia, è in atto una protesta chiamata “protesta dei trattori” dove molti agricoltori sono scesi in piazza a manifestare con i loro trattori contro le politiche europee per l’agricoltura, giudicate troppo penalizzanti contro il settore agricolo.

I vincoli di carattere ambientale decisi dall’Unione Europea come la riduzione nell’uso dei fitofarmaci e delle emissioni nocive, insieme al tenere a riposo (quindi non  produttivi) il 4% dei loro terreni come condizione per poter accedere ai contributi comunitari, vengono considerati una minaccia alla loro libertà sia lavorativa che economica.

Oltre al Green Deal dell’Unione Europea, a preoccupare gli agricoltori sono anche i costi di produzione troppo alti dovuti anche all’aumento dei carburanti (complici le varie guerre in corso) e le basse remunerazioni.

 

Un altro mondo possibile

 

Quello che invece sosteniamo noi e tanti nostri colleghi, è che esiste anche un altro modello più sostenibile di produzione e consumo del cibo: un modello agricolo che resiste e si adatta meglio ai cambiamenti (climatici) e si basa sui principi dell’agroecologia e della rigenerazione della terra.

L’attuale modello agro-industriale, dipendente dai carburanti fossili e dai prodotti di sintesi, basato su produzioni intensive senza alcun controllo della filiera e dei prezzi, in balia della grande distribuzione, rappresenta un fallimento più che un modello da difendere a tutti i costi.

 

Non sentirete la nostra voce nei telegiornali, ma nei mercati contadini o nelle nostre piccole aziende di paese, perché l’unica modalità economicamente sostenibile per questo tipo di agricoltura “artigianale” è la vendita diretta, la relazione di fiducia personale che viene ad instaurarsi con i consumatori locali, che sono disposti a riconoscere il valore aggiunto di prodotti coi quali la grande distribuzione non potrà mai competere in termini di freschezza e qualità.

 

Siamo convinti che il nostro ruolo di contadini sia profondamente politico in quanto produciamo cibo, ma non andremo a Roma o a Bruxelles a protestare contro le misure agro-ambientali, perché pratichiamo da sempre le rotazioni e le consociazioni e, nelle nostre aziende, la biodiversità coltivata convive con quella selvatica, dal momento che spesso siepi, boschetti, fossi, sentieri, zone umide e parcelle di terreni a riposo costituiscono già ben oltre il 4% delle aree incolte richieste dalla Politica Agricola Comunitaria (PAC). 

I costi dei carburanti e delle altre materie prime non incidono così tanto sulla nostra economia, incentrata su lavoro manuale e risorse locali. Le nostre imprese costituiscono un modello davvero sostenibile perché non dipendono da finanziamenti e sussidi pubblici o privati, ma si basano sulle conoscenze (saperi antichi uniti a tecniche al’avanguardia), sul lavoro e sul risparmio degli agricoltori e pertanto risultano capaci di offrire un’opportunità a nuovi imprenditori disposti ad investire in una vita fatta di sacrifici, ma anche di soddisfazioni, ricucendo il legame sociale tra chi coltiva il cibo e la propria comunità territoriale: è questa la nostra idea di “sovranità alimentare”.

 

La soluzione non può essere la cancellazione dell’impegno da parte di tutti per la tutela dell’ambiente e il rinvio dell’indispensabile transizione ecologica dell’agricoltura, ma come dice bene Luca Martinelli nel suo articolo per Altreconomia: “una delle possibili soluzioni è forse quella di scendere dai trattori da 200mila euro […] per tornare a un’agricoltura contadina e a filiere di produzione e distribuzione capaci di riconoscere un prezzo equo.”

 

Grazie ai nostri amici e colleghi di Cascina Bosco Fornasara e L’Orto nel Bosco per esserci venuti a trovare e per aver condiviso pensieri, difficoltà e speranze del nostro lavoro: come noi sono piccole aziende agricole a conduzione familiare, dove al primo posto viene messa la cura della terra che lasceremo ai nostri figli più che il profitto che possiamo trarne. 

 

 

 

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