Siamo abituati a suddividere l’anno in 4 stagioni, in relazioni ai passaggi del Sole agli equinozi e ai solstizi, anche se ultimamente la retorica del “non ci sono più le mezze stagioni” sta prendendo il sopravvento.
Ma non dappertutto è così. In buona parte del mondo esistono solo 2 macro-stagioni, la stagione delle piogge e quella senza piogge.
Secondo l’antico calendario giapponese (旧暦 Kyūreki) invece le stagioni sono molte di più, addirittura settantadue: l’anno è sezionato in 24 periodi a loro volta suddivisi in altre parti, fino a diventare 72 microstagioni, ovvero una nuova stagione ogni 5 giorni.
 
In un paese come il Giappone, in cui l’economia era bastata soprattutto sull’agricoltura, in cui i cambiamenti stagionali avevano un’importanza legata alla vita quotidiana e alle attività legate al clima, non potevano che soffermarsi su ogni minimo cambiamento che potesse influenzare le coltivazioni, e di conseguenza anzhe la cucina, con la preparazione di piatti legati alla stagionalità degli alimenti.
 
La stagione è quindi il risultato dell’attenta osservazione della natura: ognuno di questi periodi ha un nome poetico che descrive i delicati e impercettibili cambiamenti del mondo che ci circonda, come il giorno in cui compaiono “i primi fiori di ciliegio” o il giorno in cui “le rane iniziano a gracidare (蛙始鳴 Kawazu hajimete naku)” che inizierà il 5 maggio.

Percepire ogni minima variazione per contemplarne la meraviglia, immergersi nella poesia delle piccole cose e rinascere ogni 5 giorni con un nuovo inizio: questo è quello in cui ci riconosciamo e l’augurio con cui ti salutiamo.
 
Buona trasformazione!
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